Il primo viaggio

Breve raconto dallo "sguardo obliquo".

----------------------------

Il primo viaggio

Questo buio mi sta facendo impazzire. Se solo riuscissi a capire dove mi trovo. Non riesco a distinguere nessun contorno, non riesco a carpire nessun colore. Gli odori, però, o mio Dio, gli odori sono nauseabondi. E mi circondano. Sono tutto intorno a me. Odori rancidi, di sudore, d’indumenti sporchi, di profumi mischiati l’uno con l’altro, di scarpe, gli odori di dieci, cento, mille barboni. E questo peso opprimente che mi spinge verso il basso, come una pietra puzzolente, sulla mia schiena.

Non sono sola, questo è chiaro. Sento la presenza di miei simili qui attorno. Sento la paura di alcuni di loro, e la strafottenza arrogante di altri. Se solo qualcuno mi aiutasse a capire...

Il rumore mi sta facendo impazzire. Questo rumore sordo, ostinato, che soffoca tutto come una coltre di nebbia, azzerando ogni differenza. Se solo potessi diventare insensibile... chiudere fuori ogni sensazione.

E quei cani, Dio mio, quei cani, che abbaiano e abbaiano e abbaiano da ore, ormai. Sento il loro fetore, la loro urina mista a paura. Li odio con tutta me stessa.

Comincio anche ad avere freddo. Quest’umido sta lentamente entrando dentro di me.

Ho paura.

***

AHHH!

Qualcosa è caduto sopra di me! E’ su di me adesso, mi sta sgraffiando, mi sta scivolando addosso...Dio mio ma che sta facendo! Del liquido freddo, oleoso, sta entrando dentro di me. Che cos’è? Che cosa mi sta succedendo???

Perché lui ha lasciato che mi prendessero, che mi gettassero qui dentro, che mi sbavassero addosso, che mi picchiassero?! Bastardo!

Dev’essere stata lei a spingerlo a farlo...quell’arpia. E’ stata gelosa di me dal primo momento che lui mi ha guardata. Cos’è che gli aveva detto? “E’ da tanto che non guardi me come stai guardando quella roba li'”. Quella roba li'.

Lurida puttana.

***

Uno scossone. Sta sucedendo qualcosa. Un altro. Uno scatto, come di un grosso interruttore...un rumore metallico più forte del rumore di fondo che mi sta facendo diventare sorda.

Sento eccitazione tra i miei simili. Dove ci stanno portando. Cosa ci faranno? Avrei dovuto prestare più attenzione alle storie che sentivamo in fabbrica, prima che ci facessero uscire...di che parlavano? Non riesco a ricordare...Del “primo viaggio”. Sì, sì, del primo viaggio...Che cosa dicevano?

Che qualcuno mi aiuti! Te lo prometto, o Dio, aiutami ad ucire viva di qui, aiutami a superare questa prova e mi dedicherò al mio padrone per sempre. Ti prego!

***

Le vibrazioni si fanno più forti. Sta per succedere qualcosa. Lo sento. Avverto il cambiamento tra i miei simili, che si preparano, e quei maledetti cani hanno cominciato a guaire di nuovo.

Ecco, un altro scossone forte...è successo qualcosa. C’è un rumore più stridente. Ci stiamo fermando. Il peso sulla mia schiena si sta facendo insopportabile...mi sento sporca, SONO sporca, di me e degli umori viscidi che gli altri qui dentro mi hanno sbavato addosso.

Cosa penserà di me, quando mi vedrà?

Ma ecco la luce! LA LUCE!!! Signore, ti ringrazio, che hai asoltato le mie preghiere.

Ecco, li vedo: due umani! Ci stanno aiutando, ci stanno facendo uscire. Saremo liberi, e rivedrò lui, e lo pregherò di non lasciarmi mai più, gli chiederò perdono se ho sbagliato qualcosa, farò tutto quello che vuole.

No, TI PREGO, NO!!! BASTARDO!! Sento le sue mani dentro di me. Il bastardo ha infilato le sue dita schifose dentro di me, mi sta toccando, no, mio Dio, perché lasci che questo mi accada!!! Non ho la forza di oppormi. Vorrei saper piangere...

Mi vorrà ancora lui, dopo che questo essere immondo mi avrà lordata con le sue dita? Mi accuserà, pensando che sia colpa mia?

Li sento ridere. “Questa è proprio una bella grossa...E anche bella cara. Varrà metà del mio stipendio”, sta dicendo il violentatore mentre le sue dita sono dentro di me. Sta cercando qualcosa...se solo potessi fargli male!

***

Ecco, sono fuori. Mi hanno buttato su qualcosa di metallo...adesso riesco a vedere bene, siamo almeno un centinaio, ammassate l’una sull’altra. Il bastardo stupratore mi ha lasciata aperta. Sento l’acqua dal cielo che entra dentro di me, e si mischia ai liquidi immondi che già mi avevano penetrata.

Puzzo. Io. Puzzo. Io: così nuova, così bella, e puzzo come una capra.

Ecco, adesso ricordo di cosa parlavano le leggende: del primo viaggio. Del rito del primo viaggio. Ora ricordo. E di come la furia dei demoni del viaggio si scatenasse proprio contro di noi, perché eravamo le più belle, e quindi le più esposte.

Se solo lui mi avesse protetta meglio. Se solo avesse utilizzato un lucchetto, invece di lasciarmi andare così, come se fossi un niente, un vuoto a perdere.

Ma ecco ci siamo, sono su un nastro. E lo vedo! LO VEDO!!! E anche lui adesso mi vedrà, mi prenderà, mi carezzerà, mi chiederà scusa...

Eccolo, Dio, quanto è bello. Voglio sentire le sue mani su di me, anche se sono sporca...voglio fargli capire che ho cercato di proteggere tutto quello che mi aveva affidato, e che ho resistito...non potrà odiarmi...non potrà non capire.

***

- Porca puttana, ma quella è la mia valigia?

- Mmm, pare di sì.

- Ma cazzo, è sfatta. Ora mi sentono alla compagnia di viaggio.

Giulio prende la sua Luois Vuitton, più cara di una rata del mutuo, la raccoglie arrabbiato dal nastro trasportatore. Come spesso succede quando qualcosa di bello, di nuovo, ci viene profanato e anche noi allora, per la stizza, invece di accarezzarlo e amarlo, lo profaniamo a nostra volta, Giulio prende la valigia, la sbatacchia per terra, la lancia su un tavolaccio lì vicino.

- No, cazzo, ma me l’hanno anche aperta sti figli di puttana!

- Ti hanno rubato qualcosa?

- No, no...c’è il biglietto. Sono quei cazzoni della sicurezza. Chissà che cercavano. Meno male non ho messo il lucchetto...altrimenti avrebbero rotto anche quello.

- Certo, che te l’hanno proprio rovinata: guarda qua: cos’è questo? Una macchia d’olio? E’ tutta sgraffiata...Te l’avevo detto che avresti dovuto comprare una Samsonite come tutti...queste sono belle ma delicate.

Giulio chiude la valigia indispettito. La rimette sulle ruote, vorrebbe prenderla a calci. Sta per farlo, ma qualcosa lo blocca. S’inginocchia, tira fuori un fazzoletto dalla tasca, e comincia a pulirla, accarezzandola.

“Dai, poraccia”, dice alla moglie che lo guarda indispettita, “ne ha già passate tante oggi...era il suo primo viaggio!”

Cena di Natale - Racconto (e primo capitolo)

E' da un po' di tempo che sto scrivendo una roba più lunga del normale. Chiamiamolo un racconto lungo, va', con vari capitoli (titolo provvisorio "Caduta Libera"). Non so se lo finirò, e che ci farò se e quando lo finirò. Ma siccome il primo capitolo si chiama "Cena di Natale", ed è finito da un po', e siccome può essere letto come un racconto a sé stante, ve lo posto. Che ne pensate?



-----------------------------


Caduta Libera
di Demonio Pellegrino


Capitolo 1 - Cena di natale

Festa di Natale, casa di Luca. Ho un bicchiere di champagne in una mano, una tartina al salmone nell’altra, e i miei occhi sul culo della donna del padrone di casa.

Sono bellissimo. Indosso un paio di jeans G-star, una maglia nera a pelle, un maglione Superdry verde con cappuccio, scarpe Prada.

Siamo in 20, in perfetta parità uomo donna, come da legislazione sulle quote rosa. Gli uomini presenti si dividono in tre grandi gruppi: Luca e Vittorio fanno parte della categoria dei trentenni che approfittano del loro essere trentenni per trombare venticinquenni; Paolo, Umberto e Igor fanno parte della categoria di trentenni che approfittano del loro essere trentenni per trombare tutto il trombabile; Giulio, Valerio, Marco e Giovanni fanno parte del gruppo di trentenni sposati, fidanzati o quant'altro che vorrebbero trombare venticinquenni o tutto il trombabile, ma non lo fanno.

Io sono in bilico tra le prime due categorie.

Le donne sono tutte in una sola categoria: troie. Ma ci sono tre sottocategorie: mettibili, trombabili e ingiovibili.

Mi guardo intorno. Sono seduto tra donne disperate per un figlio, donne disperate per un cazzo (letteralmente), donne inconsapevoli dell'animale che si ritrovano per marito o compagno. Nessuna ingiovibile, per fortuna, molte trombabili, pochissime mettibili.

Igor, di fronte a me, grugnisce nella sua lingua del cazzo. Giusy sostiene che il suo accento è molto sexy. Mi domando se la Mercedes classe E che ha parcheggiato di fronte a casa di Luca influisca sulla sensualità del suo accento. E se sì, in che misura.

Continuo a guardarmi attorno, e mi chiedo dove siano finite le corpiduri delle mie compagne di università: guardo Laura, a capotavola. Le sorrido, e penso a quando scopammo a casa sua, con sua sorella in salotto, e la camera da letto con la porta aperta. Sta servendo una zuppa grigia, di non so che cosa, impedita dal suo maglione extralarge. Immagino l'abbia comprato per coprire lo sboddamento del suo corpo. Dovrebbe richiedere indietro i soldi: ovviamente l'indumento in questione non svolge bene il proprio compito.

Cristina sta parlando con Vittorio, si vede che è annoiata. Si vede che non ascolta. Mi tolgo il mocassino Prada pagato col sangue, e comincio a farle piedino sotto il tavolo, solo per non impazzire e avere qualcosa da fare, mentre Giulio, il suo convivente, mi sfonda le meningi con programmi d'investimento che secondo lui possono aiutarmi a superare la crisi economica.

"Dovresti investire nel vino, Matteo, comprarti una bella cassa di Chateux Gran Cul, lasciarla li' vent'anni, e poi rivenderla. Ci faresti un sacco di soldi, è una polizza per la vita", continua a parlare sbavando. E' l'unico ad indossare una cravatta del cazzo. Cristina, che non si è mossa se non per aprire un po' le gambe e permettere al mio piede di montare verso le sue cosce, lo guarda con disprezzo.

"Giulio, perché devi rompere le scatole a tutti con queste menate d'investimento?"

"Lascia stare Cristina, che se avessimo investito in vino come avevo detto io, a quest'ora saremmo ricchissimi"

"Beh, ma non lo siamo, Giulio. E credo che questo ti squalifichi abbastanza come possibile consulente finanziario, non credi?".

Nel dire queste cose Cristina infila la mano sotto la tavola, prende il mio piede e se lo mette con forza in mezzo alle gambe. Mi domando che biancheria abbia, mentre il mio piede senza scarpa assorbe il calore della sua figa. Mi domando dove potrei scoparmela in casa di Luca, senza che nessuno se ne accorga. Mi domando per quale motivo m'interessi che nessuno se ne accorga.

Giulio continua a parlarmi di fondi d'investimento e di un suo amico che una volta a Singapore ha comprato un mobile antico e ha scoperto che...Mi alzo all'improvviso per non sclerare e prenderlo a sberle. Cristina sobbalza. M'infilo la scarpa, mentre Giulio mi guarda, vede che mi sto mettendo la scarpa, e poi alza gli occhi verso Cristina, che lo guarda basita. Non dico niente, e faccio come se fosse perfettamente normale togliersi il mocassino destro durante una cena.

Tutti hanno capito benissimo che fino a un secondo prima il mio piede era tra le gambe di Cristina. Tutti tranne Giulio. Che si alza con me e continua a parlarmi di fondi d'investimento.

"Giulio, devo andare al cesso", gli dico, "vuoi accompagnarmi anche li'"?

Mi allontano, e mi avvicino per principio al corpo sformato di Laura, faccio in modo di toccarlo passando per aprire il cesso, e sento il mio gomito affondare in un mare di carne.

Stranamente non mi schifa, provocando una semi erezione.

Vado in bagno, provo a farmi una sega pensando a Cristina, ma non ci riesco. Mi rassetto, esco dal bagno e torno in sala da pranzo.

Il gruppo si è spostato verso il tavolo del dolce. Pandori, panettoni, tiramisù, creme-caramel e ogni altra bomba calorica sono offerti come su un altare sacrificale.

Elena mi si avvicina. Trombabile, sicuramente. Forse mettibile. E' l'unica che ancora si prenda la pena di parlarmi come se potessi davvero risponderle.

"Matteo, che cazzo stai facendo con Cristina? Tra un po' il tuo piede le sbucava dalla bocca..."

"Sei gelosa?"

"No, ma non credo tu ti faccia del bene a fare quello che fai. Giulio è un tuo amico!"

"Giulio è uno a cui ho venduto la raccolta di Martin Mystère nel 1994, Elena, e a prezzo maggiorato. Non un amico. Sii precisa nell’utilizzo dei vocabili, per favore, ti sei pure laureata in lettere."

"Sei davvero uno stronzo".

"Per servirla, signora".

Elena si allontana e torna da Vittorio. Igor si avvicina.

"whsqdjheshsj tiramisù?"

"Eh?"

"qsqkhdkqsdh tiramisù"?

"Ma come cazzo parli, Igor? Non ti capisco"

Igor si offende, sta per dirmi qualcosa. Cristina mi prende per un braccio e mi porta in cucina.

"Ti vuoi fare ammazzare stasera?"

"Avrei altre priorità...", le rispondo, mentre le guardo deliberatamente la scollatura abbondante, che lascia intravedere due tette durissime.

"Ah sì, e quali sarebbero?"

Non alzo lo sguardo dalle sue tette. Sto parlando con loro: "Non ho programmi. Vado dove mi porta il cuore".

"Matteo, tu un cuore non ce l'hai. O se ce l'hai è sulla punta del tuo uccello".

"E' un problema?", le chiedo sfoderando il mio sorriso migliore.

"Non necessariamente..."

Mi avvicino, e senza guardarla negli occhi le metto una mano sulla tetta destra, e una mano sul fianco sinistro. L'attiro verso di me. Le bacio il collo. Sento il suo respiro aumentare.

"Certo che voi donne siete veramente tutte troie", sussurro, ancora con la mano sulla tetta, ancora senza guardarla in faccia.

Sento il rumore dello schiaffo prima ancora del dolore sulla gota. Mentre Cristina se ne va in bagno, con le lacrime agli occhi, le urlo "che cliché del cazzo, che sei". Non credo che mi abbia sentito. Faccio per urlare più forte, ma mi dico che non è una buona idea.

Torno in salotto. E' il momento della consegna dei regali. Umberto, come ogni anno, sta cercando di trovare una nuova procedura per la consegna di questi cazzo di regali a sorpresa. Evidentemente non è soddisfatto della procedura reinventata ogni anno negli ultimi 15 anni.

M'innervosisco, e per dispetto comincio a spezzettare le foglie di una pianta costosa che Maria ha portato di regalo a Luca stasera. Non so che pianta sia, ma è verde.

Luca mi vede, e si avvicina. Mi sorride e versa il suo spumante nel vaso della pianta, sorridendo. "Mi faceva comunque schifo", mi dice.

Lo abbraccerei se non fossi uno stronzo.

Umberto sta ancora cercando di spiegare come avverà la cernita dei regali. Io mi piazzo dietro al divano, guardando i culi delle donne, per vedere se qualcuna non lasci il tanga in bell'evidenza. Scommetto con me stesso che ce ne sono almeno cinque. BINGO! Ne conto 6. Di queste sei, tre me le sono scopate, una mi ha fatto un pompino. Due mi mancano.

Decido che devo rimediare.

Mentre fantastico di un'orgia con due gemelle viste su una rivista dal dentista quel pomeriggio, arriva il momento dei regali. Ho il regalo numero 6. Lo apro. E' un cuscino per appoggiare la testa nella vasca da bagno. Comincio a urlare come un pazzo, saltando, gridando che è bellissimo, e che Dio solo sa quanto lo volessi. Corro intorno agli altri. Inciampo in una lampada che cade per terra e si rompe.

Gli altri mi guardano in silenzio, imbarazzati. Io continuo ad urlare. Taccio all'improvviso.

"Cazzo, ho solo la doccia a casa", dico. E comincio a fingere di piangere.

Giulio scuote la testa in un angolo, guardandomi. Cristina mi guarda. Non capisco se è amore, disprezzo o pena quello che vedo nei suoi occhi. Luca ride.

Capisco che è il momento di sloggiare. Saluto e me ne vado. Prima di uscire frugo nei cappotti appesi all'ingresso, prendo un paio di mazzi di chiavi che non so a chi appartengano. Uscito in strada, le butto nel pozzetto della fogna.

In strada, cerco poi la Mercedes Classe E di Igor, la rigo con una chiave, e ci scrivo UNGHERIA MERDA.

Salgo su un taxi, e vado a casa.

Tornare bambina

Esercizio: scrivi un racconto in un genere che pensi non ti sia congeniale. (Ho scelto un racconto d'amore).

-------------------------------

Tornare bambina

"Se avessi saputo che sarei stato prigioniero per 15 anni, se me lo avessero detto,
la cosa mi avrebbe aiutato? O mi avrebbe ucciso?"

Oh Dae Sun, Old Boy


Camilla spense il neon della cucina, e andò verso la camera da letto. I piatti erano ancora sul tavolo, sporchi, ma per stasera non importava. Li avrebbe lavati l'indomani. Suo marito Luca era in viaggio di lavoro, e Elisa avrebbe dormito da un'amica. Stasera era libera.

Passando in corridoio, sfiorò i libri sugli scaffali, come faceva da ragazzina. Quando si piazzava ore di fronte alla libreria, senza saper scegliere...tanti mondi da esplorare in ogni libro, tante vite da rivivere...allora le sembrava che sceglierne uno volese dire condannare all'oblio gli altri, far loro un torto.

Sorrise. A cinquant'anni la paura di scegliere non l'aveva più...era subentrata quella di non poterlo più fare.

Andò verso il comò, ne aprì l'ultimo cassetto, quello dove nei film i ladri trovano sempre quello che cercano, nascosto sotto qualche capo di biancheria. Nel caso di Camilla, però, avrebbero trovato solo una lettera. Una lettera di molti anni fa, con la carta ingiallita, e l'inchiostro macchiato in alcuni punti. Le macchie c'erano già quando la lettera le era stata recapitata, una ventina di anni prima.

L'aprì con cura. E come sempre, fu assalita da un sentimento ambiguo, di odio, rabbia, amore, desiderio. Marco era morto, lo sapeva, l'aveva letto sui giornali. Ma le sue parole, le ultime che le aveva rivolto prima ancora di diventare il Marco di dominio pubblico, erano ancora con lei.


Parigi, 8 luglio 2009

Camilla,

La tua voce quando ti ho detto che non sarei venuto. Mi perseguita, mi scava nello stomaco e uccide ogni mio sforzo. Una parola ti è bastata, ancora una volta, per farmi capire il mio errore. Di nuovo.

"Perché".

Una parola. E il tuo tono che era il tono di tutto il mio spirito. Sorpresa, stupore, disperazione, una slavina. Così mi sentivo. Così ti sei sentita. E averla generata la slavina non ti mette al riparo.

Tu mi chiedi la lettera. Eccola. Quando leggerai, se leggerai, forse capirai. Forse no. Come hai detto tu, ho solo questo da offrire, parole.

Era una sera di aprile. Lungo strade mai percorse, eccitato, impaurito, venivo ad incontrarti. Solo qualche foto e molte parole scambiate potevano aiutarmi a cercare di capire che cosa sarebbe successo. Non l'hanno fatto.

"Se avessi saputo che sarei stato prigioniero per 15 anni, se me lo avessero detto, mi avrebbe aiutato? O mi avrebbe ucciso?". La stessa domanda di Oh Dae Sun mi circola ormai da mesi nella testa. Non sono passati quindici anni. Sono passati solo pochi mesi. Ma la sensazione di cambiamento profondo, è stata immediata, improvvisa, travolgente. Come un apprendista stregone qualsiasi ho sollevato forze che non ho saputo controllare, che solo ora riesco a fingere d'ignorare.

Arrivare, parcheggiare. Cercare il tuo nome tra i campanelli. Titubare, guardando i vicini che entrano attraverso lo stesso cancello, e mi guardano inquieti. Segno dei tempi. Ma non sono uno straniero, i miei vestiti sono puliti, i miei tratti sono nordici, più a nord della Lega, e il mio sorriso non è clandestino. Desto diffidenza, ma garbata. Non paura.

Indugiare ancora, con un cane che abbaia da qualche parte vicino. Guardare le case. Ricordi di scuola, quando la maestra ci spiegava le costruzioni delle diverse tipologie di case romane. Non sembra una casa romana, la tua, non lo è, ma i ricordi immediati sono quelli. La mente ha i suoi percorsi. Mi chiedo se potrebbe mai diventare la mia casa. Non mi rispondo, mi dico che è un falso problema. Sapevo già tutto? O era solo un pensiero sciocco, inconsapevole del vaso di Pandora che stava per scoperchiarsi?

Suonare. Trovarti al portone. Risa d'imbarazzo. Lo sconosciuto a casa della sconosciuta. Una doccia, chiacchiere, una familiarità dapprima percepita come finta, poi capita come vera.

Un bacio. Sentire il volo dentro. Capire l'errore, capire che non lo controllo, parole che salgono subito alla gola, come una fonte che abbia trovato una via di sbocco dopo anni. Con uno sforzo, riuscire a rimandarle giu'.

Sesso. Molto. La sensazione, il bisogno di abbandonare i preliminari ed essere solo dentro di te. Anche se immobile. Anche senza muovermi. Ma immobili non siamo. Sesso come sublimazione di altro. Sesso come penetrazione dell'anima. Ma non la tua, la mia. Avvertire che sei tu che possiedi la mia mente come io sto possedendo il tuo corpo. E' bastato un attimo. Ma è ancora troppo presto per capirlo, e troppo tardi per fermarlo.

Era una sera d'aprile. Una sera in cui la mia anima divenne consapevole che lo sbocco esisteva. Senza sapere che di lì a poco si sarebbe mostrata troppo pavida, forse, per perseguirlo.

E leggere Catullo in latino, su un letto sfatto dagli odori e dai sapori di tutto quello di cui Catullo parla. Ascoltare la tua voce, mentre i rumori estivi penetrano nell'appartamento. Falsamente estivi, e dunque anch'essi almeno in parte responsaibili della perfetta illusione.

Baciarti ancora, fare di nuovo l'amore.

Parlare in macchina, con la tua voce che è come un balsamo.

Sognare di fare l'amore con te, anche mentre facciamo l'amore. Come se la perfezione presente non bastasse, come se volessi fare scorta di futuro.

Non eri nata neanche come un gioco. Non eri la prescelta con la quale divertirsi un po' per poi abbandonarla. C'erano altre, per questo. Eri la prova finale prima del grande salto. Eri quella che doveva confermarmi che non potevo stare meglio di come stessi. Eri quella che avrebbe ancora una volta dovuto confermare che non è una questione di chimica, che tutto era ormai come nel migliore dei mondi possibili.

Era questo il ruolo che avevo scelto per te. E per questo ti ho mentito. Non ti ho detto di lei. Non ti ho detto dei nostri piani, del nostro presente e del nostro futuro. Dovevi essere uno strumento, dovevi sparire dai miei pensieri, dalla mia vita. Dimenticata il giorno stesso in cui fossi uscito dalla tua porta.

Non cerco comprensione. Un motivo vero, non c'è.

Sto mentendo, c'è. E' la voce. La voce che mi ha convinto che in realtà l'elevazione di spirito fosse temporanea. Che mi avresti lasciato, tra due, tre anni, per un velista, un pittore, un contabile, un bancario. E che io non l'avrei sopportato.

Chiamami essere triste. Lo sono. Un uomo che ha paura di vivere pienamente l'amore oggi per paura di sprofondare domani. Un uomo che ha scelto l'atarassia dei sentimenti alla tempesta che tu rappresentavi.

Odiami. Disprezzami perché questo merito.

Avrei potuto mentirti. Continuare a vederti ancora, almeno un'altra volta. Senza che tu sapessi niente. La sua distanza, la nostra distanza me lo permetteva. Almeno per un po'. Sarei potuto venire quel fine settimana. Stare con te. Non ho voluto. E ho scelto di finire prima ancora che tu me lo chiedessi. Prim'ancora che tu mi mettessi di fronte all'obbligo di una scelta.

Non mi pento della scelta di quel giorno. Perché ti amo. E perché sono un vigliacco. La prima non posso spiegartela. La seconda forse si'.

Ho optato per la certezza di un'infelicità che speravo di saper gestire, figlia della mia decisione di non vederti. L'ho preferita alla possibile infelicità di un futuro in cui tu mi avresti lasciato. Non avrei sopportato di vivere una sensazione così e poi vederla sparire. Ed ho scelto di non viverla.

Ma l'annichilimento che provo mi fa capire che forse ho commesso un errore. Il baratto dei sentimenti non mi è stato vantaggioso, e sto forse pagando più di quanto avrei mai pensato di dover pagare.

Mi dimenticherai? Mi ricorderai con disprezzo? Tu che con una parola hai saputo capirmi e possedermi?

Con altre donne questo dubbio non mi avrebbe minimamente turbato. Con te mi tormenta. Non è il tuo giudizio che mi preoccupa. E' l'idea di averti persa. Aver perso non solo te, ma anche una parte di me.

Un bivio, che io non ho imboccato. Nonostante la strada sulla quale sono rimasto fosse stata chiusa da tempo, e io lo sapessi.

Baciami, stringimi, fammi sentire il tuo sapore. Scrivere queste parole mi provoca un desiderio incontrollabile. Ora capisco, finalmente, cosa vuol dire bruciare d'amore.

A una riunione oggi per la prima volta ho balbettato. Ti pensavo, ed è venuto il mio turno di dire qualcosa e non ci sono riuscito. Sei rimasta nella mia testa, senza andartene. E le parole non mi sono uscite. Solo suoni gutturali.

C'era un politico accanto a me. Era l'ospite d'onore. Avrei dovuto presentarlo, fare conversazione prima e dopo. Mi pareva un tipo in gamba. Sorridente, gentile, affabile. Sui 55 anni, più o meno. Senz'anello al dito. E mi sono chiesto se anche lui avesse bruciato tutto per una storia non vissuta. O se magari avesse bruciato tutto per averla vissuta, la storia. Ti ricordi quando in riva al lago parlavamo del dubbio della Falena?

Mi chiedevo se diventerò anch'io così. Mi chiedevo se come lui tornero' a casa dai miei viaggi di lavoro e guardero' la televisione da solo, forse chiamando una puttana ogni tanto per soddisfare i miei bisogni. Forse neanche quello.

Mi chiedevo fino a che punto una scelta, una scelta sola, possa condizionare una vita. E mi rispondevo "molto". Ma dipende dalla scelta. Mi chiedevo se anche lui serbava nel cuore il ricordo di un volto, di un momento, che non riusciva a passare.

E' venuto il mio turno, e ho balbettato. E me sono andato.

Come hai detto tu, ho solo questo da offrire, parole.

Tuo (da sempre, e per sempre)

Marco


Richiuse la lettera dolcemente, cercando di minimizzare i danni alla carta. Pensò a sua figlia Elisa, che con i suoi vent'anni viveva in un mondo dove ormai le parole esistevano solo attraverso lo schermo di un computer. Pianse per lei. Perché non avrebbe forse mai potuto capire cosa volesse dire rileggere parole d'amore scritte vent'anni prima, con i fogli macchiati dalle lacrime dell'uomo che le aveva scritte per te, e capaci ancor oggi di farti sentire leggera e pesante come allora.

Si alzò dalla scrivania, andò di nuovo in corridoio, di fronte alla libreria. Si sedette per terra, proprio come quando era bambina. Incrociando le gambe, poggiando i gomiti sulle ginocchia, e il mento sui palmi delle mani. Guardandola, non fosse stato per i molti capelli bianchi, la si sarebbe presa ancora per quella bambina di tanti anni fa.

Il rumore del traffico arrivava smorzato attraverso le finestre. Lo scaldabagno ticchettava, come una macchinetta da caffé. Mentre Camilla si trovò di fronte a mille mondi, e ricomincò a dubitare ancora una volta su quale scegliere, quale far rivivere. Sorrise. E ringraziò Marco per l'unico vero gesto d'amore che avesse fatto per lei. Scriverle quella lettera.